Nov 06, 2017

Che fatica, c’è la cricca!

Una crepa sottile, profonda o anche meno profonda: è l’odiosa messaggera di un evento tragico: la rottura! E una volta che si arriva alla rottura, lo sanno tutti, non è mica così facile.

Siamo sicuri che possa risultare consolante dedicarsi all’indagine delle cause? E dire che la cricca può avere nel suo pedigree questo e quello… difetti di formazione, lavorazione, disegno (per esempio, la mancanza di raccordi).

E già, ma tu intanto hai il pezzo rovinato. Perché? Te lo dico in un soffio, in cinque desolanti parole: non ha retto alla fatica.

Le cricche sono tante. E tutte brutte e cattive

Mentre pensavo a cosa poterti proporre di almeno un po’ utile su questo tema, mi è anche apparso evidente che non si può fare a meno di qualche esempio. Così, tanto per chiarezza. E te lo confesso, la cricca maledetta mi ha preso la mano. Eccoti un elenco, credo sia completo. Lungo è lungo, non c’è che dire.

Ecco tutte le cricche del mondo, solo per te.

  • Cricca a caldo: Spaccatura che si forma durante il raffreddamento dalla temperatura di fusione a quella di solidificazione
  • Cricca a corrosione sotto tensione: Cricca provocata da fenomeni di corrosione e che si manifesta generalmente in presenza di sollecitazioni meccaniche o altro
  • Cricca a corrosione sotto tensione indotta da idrogeno: Cricca provocata da fenomeni di corrosione e che si manifesta in presenza di pressioni dovute a idrogeno
  • Cricca a freddo: Cricca che si forma a temperatura ambiente, generalmente dovuta a sprigionamento di tensioni meccaniche
  • Cricca al vertice: Cricca alla radice del cordone di saldatura
  • Cricca capillare: Spaccatura sottilissima
  • Cricca da corrosione intergranulare: Spaccatura innescata dalla corrosione al contorno dei grani
  • Cricca da decapaggio: Cricca provocata da sollecitazioni originatesi durante il decapaggio
  • Cricca da molatura (rettifica): Cricche abitualmente a ragnatela generata da surriscaldo indotto dalle mole
  • Cricca da raddrizzatura: Spaccatura che si verifica durante l’operazione di raddrizzatura, di un prodotto, quando il materiale è forzato oltre il suo carico massimo di resistenza a rottura
  • Cricca da raffreddamento: Spaccatura formatasi a temperatura relativamente bassa o a temperatura ambiente. Il difetto presenta lembi ravvicinati e superfici brillanti ed è causato da tensioni interne del materiale di origine termica, da trasformazione strutturale o da sollecitazioni esterne. La presenza di inneschi a rottura sono spesso la causa del difetto
  • Cricca da ritiro: Cricca dovuta a impedimento della libera contrazione durante la solidificazione
  • Cricca da tempra: Spaccatura provocata da considerevoli sollecitazioni meccaniche durante il raffreddamento da tempra
  • Cricca di colaggio: Cricca dovuta a velocità o temperatura eccessiva di colaggio che non danno tempo alla formazione di una pelle sufficientemente resistente
  • Cricca di contrazione: Cricca che compare quando una bava o altro impedisce la libera contrazione, in fase di raffreddamento, del lingotto o del getto
  • Cricca di corrosione: Cricca provocata da fenomeni di corrosione e che si manifesta generalmente in presenza di sollecitazioni meccaniche
  • Cricca di fucinatura: Cricca causata da passate di fucinatura troppo consistenti
  • Cricca di laminazione: Cricca che si sviluppa durante la laminazione per errato rapporto di riduzione o per sbagliato processo di fabbricazione
  • Cricca di riscaldamento: Spaccatura che si verifica durante un riscaldamento non uniforme e non abbastanza graduale
  • Cricca di saldatura: Criccatura del metallo base conseguente alla liberazione di tensioni originate in fase di raffreddamento dopo saldatura
  • Cricca di sormontatura: Cricca innescata da una ripresa di colaggio o su una paglia
  • Cricca di tensione: Cricca dovuta a sollecitazioni termiche in fase di trattamento termico
  • Cricca intercristallina: Cricca che si forma ai bordi dei grani metallici
  • Cricca interna: Spaccatura che si genera all’interno del pezzo
  • Cricca longitudinale: Fessura orientata secondo l’asse principale del pezzo
  • Cricca principale: Spaccatura dalla quale si diramano le cricche nate in un secondo tempo
  • Cricca secondaria: Cricca ramificata dalla spaccatura principale
  • Cricca sotto cordone: Cricca nel cordone di saldatura, di solito interna, situata nella zona di transizione o ai margini della stessa
  • Cricca superficiale: Cricca che appare alla superficie e che interessa limitati strati esterni
  • Cricca transcristallina: Cricca che attraversa i grani metallici
  • Cricca trasversale: Cricca orientata in senso ortogonale all’asse principale del pezzo
  • Cricche capillari: Fessure con dimensioni piuttosto piccole in grado di penetrare nei microspazi del metallo
  • Cricche da shock termico: Cricca dovuta a sbalzi termici (raffreddamento troppo drastico o a riscaldo troppo rapido)
  • Cricche e fratture per scorrimento: Difetti che si generano nel metallo quando viene compresso e costretto a traslarsi in una data direzione

Nonostante l’impressionante varietà delle sue manifestazioni, vale la pena ripartire dalla definizione di base, che ci descrive la cricca come una discontinuità micro o macroscopica di un metallo in cui due dimensioni sono decisamente più importanti della terza( lunghezza-profondità-larghezza). La presenza di tale discontinuità, in un manufatto sollecitato, implica all’apice della cricca l’incremento delle sollecitazioni locali, ergo della fatica.

Quando sollecitare significa affaticare

Se stai leggendo e non hai finora scaraventato pc, tablet o smarthphone (te ne intendi di informatica?), se ancora non sei fuggito dal blog, verosimilmente te ne intendi di meccanica. Quindi se affermo che la fatica è “un fenomeno meccanico per cui un componente, soggetto a carichi variabili nel tempo, si danneggia e si rompe nonostante l’intensità dei carichi sia notevolmente inferiore al valore di rottura del materiale” mi sono spiegato bene.

Ma se ci fosse qualche bastian contrario qui a leggere, ecco la “legge del fil di ferro”. Prendi un pezzo di fil di ferro e piegalo, prima in un sensopoi in quello opposto. Ripeti l’operazione più volte: ti sembrerà magari una legge di Murphy, e infatti il pezzo si rompe.

Ad ucciderlo è stata proprio la fatica, perché il carico, o sollecitazione, subita dal materiale eguaglia il suo valore limite di resistenza. Per rompere a fatica un oggetto metallico, comunque, non è necessario piegarlo. Basta sottoporlo a lungo ad una sollecitazione variabile – cioè che alterna momenti di carico a momenti di assenza di carico – nel tempo.

Il materiale per fatica si fessura, ovvero si forma una cricca che avanza man man che i cicli di carico aumentano. La sezione utile, la parte cioè non danneggiata, si assottiglia progressivamente, abbassando la resistenza complessiva. Quando la sezione utile non riesce più a sostenere la sollecitazione, si ha una rottura di schianto.

Esaurita questa dinamica eccoci, infine, in presenza di una rottura per fatica! Puoi ammirare le due parti, che, ben diverse tra loro, si evidenziano sulla superficie:

  • frattura per fatica: superficie liscia, a volte lucida, con tipiche “linee di spiaggia”, segni caratteristici che indicano quanti cicli di funzionamento ha sostenuto quel componente, ovvero per quante volte è stato usato. Se la superficie non subisce alterazioni dopo la rottura, l’analisi microscopica rivelerà con buona precisione per quante volte è stato impiegato il pezzo.
  • frattura di schianto o finale: è la parte ruvida della superficie. Quando la forza applicata è superiore alla resistenza residua del pezzo, la rottura sopraggiunge istantanea.

La fatica ha al suo attivo una bella serie di disastri. Basteà una breve digressione per inquadrare il problema nella storia della tecnica.

Nel 1850 circa, la rottura degli assi di carrozze e locomotive innescò alcuni gravissimi incidenti ferroviari. Una commissione d’inchiesta, guidata da August Wöhler, accertò che la rottura degli assi era dovuto ad un fenomeno definito appunto “fatica”. Il materiale, acciaio in quel caso, si mostrò incapace di resistere a sforzi variabili nel tempo, pur se di entità bassa, molto inferiore a quella necessaria per piegare i pezzi.

La commissione d’inchiesta concluse che un componente costruito con un materiale metallico dura tanto più a lungo quanto minore è la sollecitazione, tanto che al di sotto di un certo livello non si rompe nemmeno dopo milioni di cicli di sollecitazione.

La sollecitazione “critica” viene detta “limite di fatica” ed è correlata ad una durata di circa 1 milione di cicli, il che significa che se un componente resiste ad una sollecitazione per più 1 milione di cicli, tale sollecitazione è al di sotto del limite di fatica. Se insomma la sollecitazione rimane al di sotto di tale limite, la durata è indefinita, virtualmente eterna.

La fatica, ‘prima’, era del tutto sconosciuta. E invece tutte le macchine bisogna pagar dazio: per l’uomo una lezione dura, ma molto significativa, come sempre quelle apprese nelle calamità. Il valore di resistenza a fatica che i produttori delle leghe metalliche forniscono viene rilevato secondo una procedura standard di laboratorio, mediante provette realizzate seguendo apposite normative: esistono apposite disposizioni tecniche, emanate dagli enti di unificazione internazionali, che determinano gli standard minimi di prova per la durata di una macchina e dei suoi componenti.

Al disastro si arriva in 3 tempi: annotali

In un pezzo lavorato, anche a livello microscopico il materiale non è mai perfettamente omogeneo. Soprattutto se ci sono saldature, ci sarà una certa variabilità di caratteristiche da punto a punto. Le discontinuità riducono la resistenza, creano le condizioni perché si inneschi la cricca di fatica, agiscono da invito alla rottura. Se fosse un flusso d’acqua scorresse nel materiale, aumenterebbe di velocità in presenza di spigoli, di curve o altre irregolarità. Allo stesso modo aumenta la sollecitazione locale nel materiale.

La crepa, o “cricca”, inizia in un punto debole, si estende molto lentamente e rimane invisibile, ma cresccendo in grandezza cresce in velocità di propagazione, indebolendo irreversibilmente il pezzo. Raggiunta una dimensione critica, il pezzo non resiste alla forza applicata e si rompe di schianto. Fino a un istante prima sembrava perfettamente integro, “come nuovo”, perlomeno ad un occhio non allenato, visto che un esperto riesce a individuarne la traccia con buona sicurezza.

In particolare, il danneggiamento per fatica si attua attraverso i seguenti stadi:

  1. innesco della frattura: questo primo stadio, detto anche di assestamento microstrutturale, ha l’effetto di stabilizzare il ciclo di isteresi plastica della massa metallica (restringendolo o allargandolo a seconda dei materiali, se prevale l’incrudimento o l’addolcimento) e, di conseguenza, di stabilizzare alcune caratteristiche meccaniche e fisiche dello stesso. Slittamenti “disordinati” dei piani cristallini del metallo si localizzano in bande disposte a 45° rispetto alla direzione dello sforzo applicato, generando microintrusioni e microestrusioni. La frattura si innesca quasi sempre sulla superficie del pezzo ed è dovuta a irregolarità superficiali di qualsiasi tipo, ad esempio microcricche e microintagli. Anche se la superficie viene lappata ed eliminiamo tutte le irregolarità che possono innescare la frattura, il materiale da solo si ricrea da sé le irregolarità. Infatti anche se il carico è inferiore a quello di snervamento, localmente si manifestano tensioni superiori che innescano fenomeni di scorrimento; ciò causa la nascita di protuberanze sulla superficie del materiale. Anche quando si inverte la tensione σ, le protuberanze non rientrano, perché formano ossidi che ne impediscono i movimenti e perché essendo incrudite per farle rientrare ci vorrebbe una σ maggiore.
  1. fase di nucleazione: le microintrusioni e microestrusioni determinano l’innesco del danneggiamento per fatica. Infatti sul fondo di tali microintrusioni gli sforzi risultano amplificati per effetto d’intaglio, per cui il materiale in quel punto cederà facilmente e si formeranno delle microcricche. Queste tendono a riunirsi, andando a formare la cricca vera e propria, che si considera ormai nucleata quando raggiunge la profondità di circa 0,1 mm.
  1. propagazione della cricca: la cricca si propaga per un piccolo tratto lungo la direzione 45° dei difetti di estrusione, poi il suo cammino prosegue in direzione ortogonale alla direzione esterna. In particolare dopo la nucleazione della cricca, la sua propagazione avviene in maniera transgranulare (come una frattura fragile) e in senso perpendicolare a quello del massimo sforzo (non più a 45°); ad ogni ciclo di sforzo la cricca avanza di un “passo” e lascia a volte tracce caratteristiche, dette “striature”. All’apice della cricca si ha intensificazione degli sforzi. Se il materiale è tenace, si ha deformazione plastica e propagazione della cricca come nella frattura duttile; aumenta il raggio di plasticizzazione all’apice della cricca e di conseguenza σ max diminuisce (< σs), arrestando la cricca stessa. Questo arrestarsi e ripartire della cricca per ogni ciclo dà origine alla formazione delle linee di spiaggia tipiche della zona di propagazione.

Frattura finale: l’avanzare della cricca porta ad una progressiva diminuzione di sezione resistente; quando la sezione resistente si riduce e la dimensione della cricca raggiunge il valore della sezione critica del materiale, si ha la frattura finale di schianto per sovraccarico (statico).

La tensione di rottura è modificabile: ecco come

Il limite di fatica è correlato alla tensione di rottura Rm e indirettamente ai fattori che la modificano. Si distinguono in fattori metallurgici e fattori meccanici.

Per quanto riguarda i fattori metallurgici:

  • composizione: per Rm non troppo elevato, la composizione non influisce particolarmente, mentre con Rm elevato si nota una maggiore resistenza a fatica degli acciai legati;
  • dimensione della grana cristallina: mediamente, una struttura fine determina l’aumento di Rm e quindi del limite di fatica;
  • morfologia: strutture globulari e lamellari (al decrescere della distanza delle lamelle) sono favorite;
  • fibratura: comporta una minore resistenza a fatica per un provino ricavato trasversalmente alla direzione di laminazione;
  • incrudimento: innalza la Rm, ma non è consigliabile in quanto collateralmente causa l’aumento della difettosità e quindi delle microcricche.

In genere gli acciai da bonifica sono più resistenti a frattura fragile. Le inclusioni sono dannose se in quantità e con geometria lamellare. In linea di massima è quindi più resistente un pezzo ottenuto per solidificazione sottovuoto rispetto ad un pezzo ottenuto per colata.

Per quanto invece riguarda i fattori meccanici, ovvero legati all’esercizio e al dimensionamento del pezzo metallico:

  • la cricca, che inizia spesso sulla superficie del pezzo, ha un’estensione proporzionale alla probabilità d’innesco. È fondamentale la finitura superficiale: In genere si definisce limite di fatica teorico, la grandezza Lf= σR/2, questo è però un dato molto indicativo, che si usa quando le curve di Wöhler non sono note e per materiali di uguale struttura e composizione.
  • è necessario eliminare i solchi lasciati dagli utensili di lavorazione, perché in essi si crea una concentrazione di tensioni. Una superficie ben levigata apporta vantaggi significativi su pezzi in acciai ad alta resistenza, per i quali è indispensabile una accurata lavorazione. È importante inoktre evitare che una successiva corrosione crei irregolarità superficiali.
  • si oppongono all’intensificazione degli sforzi, in trazione, all’apice della cricca, gli stati di tensioni superficiale. Questi si ottengono con:

– tempra superficiale,
– nitrurazione,
– cementazione;
– trattamenti meccanici di deformazione (pallinatura, rullatura o smerigliatura).

  • al crescere della temperatura diminuisce la Rm e quindi la resistenza a fatica (solo l’acciaio al carbonio porta un’eccezione, quando tra i 100 e i 300 °C presenta un aumento di resistenza); se però essa diminuisce troppo i vantaggi sono ridotti o annullati dall’aumento del coefficiente di sensibilità all’intaglio. Con temperature particolarmente basse si verifica la fragilizzazione, brusca riduzione delle caratteristiche duttili del materiale. In presenza di questo fenomeno la tensione di rottura del materiale va a coincidere prima con quella di snervamento inferiore e poi per temperature ancora più basse con la tensione di snervamento superiore. Laddove si verifica rottura senza strizione (nel caso di una prova di trazione) si fissa la “temperatura di duttilità nulla del materiale”.

Meno fatica? Possibile, anzi certo, con Steelbetter!

E così abbiamo visto il come e perché del problema. Ma io sono qui perché tu NON abbia il problema. Niente conta di più della finitura superficiale. Aumentare le irregolarità superficiali significa veder diminuzione notevolmente del limite di fatica. Un’azione molto accentuata nell’abbassare il limite di fatica è svolta da una corrosione che sia contemporanea alla sollecitazione di fatica, e infatti il danneggiamento continua a crescere con il numero di cicli qualunque sia la sollecitazione applicata.

Detto questo, anche la forma ha importanza nella vita a fatica del pezzo. Ogni variazione di sezione determina concentrazioni di tensioni e localizza deformazioni, agendo nel senso di una netta diminuzione del limite di fatica. Per questo hanno un’azione dannosa fori, intagli e spigoli vivi.in fase di progetto e costruzione è sempre opportuno far la guerra a difetti di intaglio, fori, spigoli vivi e variazioni di sezione.

Le cricche di fatica nucleano quasi sempre (eccetto alcuni casi tipici, come la fatica per contatto ciclico negli ingranaggi) su una superficie libera del pezzo in questione: questo per un concorso di cause (in superficie sono in genere massimi gli sforzi dovuti a flessione o torsione; in superficie sono in genere presenti difetti microscopici come la rugosità superficiale che fungono da microintagli e favoriscono l’innesco…).

Come vedi, ne abbiamo di cose su cui confrontarci! Quello che posso garantirti è che qui possiamo essere d’aiuto nel prevenire il danneggiamento per fatica o per migliorare la resistenza. Ti butto lì due o tre suggerimenti:

  • rullatura o pallinatura, per creare sulla superficie sforzi residui di compressione, che tendono a richiudere eventuali microcricche e rallentano il danneggiamento;
  • carbocementazione, nitrurazione o tempra superficiale, per indurire (e quindi rinforzare) lo strato superficiale del pezzo senza infragilirne il cuore;
  • rettifica o lappatura, per ridurre al minimo le rugosità superficiali.

Sono i trattamenti che tutti i giorni eseguiamo affiancando i nostri clienti. Non vedo l’ora di mostrarti come ci muoviamo qui, dando una mano anche a te! Che ne dici? Fai una telefonata? Meno aspetti, prima risolvi!

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