Nota fin dall’antichità, la sinterizzazione è un procedimento fisico-meccanico in cui si parte da materia prima sotto forma di miscele di polveri metalliche o non metalliche e si ottiene un pezzo, con forma e geometria definita .
Questa tecnica di produzione, chiamata anche metallurgia delle polveri o metalloceramica, rappresenta un’interessante alternativa alle tradizionali produzioni per fusione o stampaggio.
Ma più frequentemente, però, viene utilizzata – e da qualche decennio largamente utilizzata – nella produzione di componenti di forma complessa gli altri procedimenti non sono in grado di garantire la necessaria robustezza e qualità.
La sinterizzazione o metallurgia delle polveri ha contribuito in modo importante all’eccellenza tecnologica e qualitativa di tanti prodotti realizzati dalla famosa azienda Olivetti, costituita a Ivrea (in provincia di Torino) nel 1908 come “prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere”, e fin dagli inizi attentissima a tecnologia e innovazione, cura del design e visibilità internazionale, non meno che agli aspetti sociali del lavoro.
La Olivetti iniziò ad utilizzare la sinterizzazione verso la metà degli anni ’50, poco dopo la scoperta del procedimento. Alcuni pezzi destinati alla produzione delle macchine per ufficio richiedevano un livello di robustezza e di precisione che solo la sinterizzazione poteva garantire, ma le macchine e le attrezzature allora disponibili non erano adeguate alle esigenze produttive. La Olivetti sviluppò allora soluzioni proprie, non solo per la scelta delle polveri e per la realizzazione degli stampi, ma anche per la progettazione delle presse di formatura e per i forni di cottura.
Grazie a un centro di ricerca specializzato, collegato con i laboratori centrali della ricerca, i procedimenti di sinterizzazione sviluppati internamente dalla Olivetti vennero via via perfezionati fino a consentire la produzione di pezzi complessi così precisi e solidi da contribuire in modo importante alle qualità funzionali di macchine per scrivere e da calcolo, di telescriventi e fotocopiatrici.
In generale, i particolari prodotti in Olivetti avevano una lunghezza massima di circa 10 centimetri ed erano realizzati in polveri di acciaio e bronzo. A partire dagli anni ’70 – per la prima volta in Italia – si aggiunsero anche le produzioni di pezzi in alluminio. La tecnologia dei componenti sinterizzati trovava (e trova tuttora) interessanti impieghi nella produzione di tante parti meccaniche utilizzate in vari settori, dalla meccanica all’auto, dall’elettromeccanica all’informatica.
Al singolo pezzo sinterizzato si aggiungono anche vari cicli di lavorazione avanzata delle parti: operazioni di calibratura e ricompressione, saldatura elettrica a proiezione, lavorazioni all’utensile (foratura, tornitura, fresatura, …), trattamenti termici, sbavatura e sabbiatura, impregnazione con olio, trattamenti di protezione superficiale (come l’ossidazione a vapore), ecc. Inoltre, gran parte delle attrezzature necessarie al ciclo produttivo erano sviluppate e prodotte internamente.
Nel 1976, al simposio sulla metallurgia delle polveri tenuto a Chicago, i sinterizzati Olivetti ottennero il primo premio tra le aziende non statunitensi partecipanti al concorso indetto dalla MPIF (Metal Powder Industries Federation). Il riconoscimento fu assegnato a tre prodotti: la copiatrice Copia 405, la telescrivente TE 400 e il sistema di gestione A5. Negli anni ‘90, evolvendo il core business dell’Olivetti verso le telecomunicazioni, si ridusse significativamente l’importanza strategica della componentistica industriale e in particolare dei sinterizzati.
La sinterizzazione si fonda sulla lavorazione di speciali polveri metalliche, ottenibili con vari procedimenti :
Si tratta di polveri metalliche di granulometria ben determinata ed elevata purezza. Molto ampia è la varietà delle polveri utilizzabili da quella di ferro, rame, stagno, piombo, nichel, a quelle di berillio, molibdeno, tungsteno e metalli preziosi, da preleghe di ottone, bronzo, alpacca, acciai al carbonio e inossidabili a miscele speciali quali quelle per materiali di attrito, spazzole elettriche, per collettori ed altro. Si possono anche usare materiali non fondibili come carburi, metalli refrattari ecc.
Mescolate con opportuni “leganti”, le polveri vanno ad assumere precise forme mediante un’operazione di compattamento in uno stampo, sotto pressioni molto elevate e con “cottura” in forni speciali a una temperatura inferiore a quella di fusione del componente principale.
Queste sono le nozioni di base, ma non si procede sempre nel medesimo modo, per precise ragioni da vedere nel dettaglio. In particolare, le strade percorribili sono tre: eccole!
▲ Sinterizzazione termica
La polvere è pressata in uno stampo di forma opportunamente disegnata, spesso con l’aggiunta di leganti polimerici per tenere insieme l’oggetto una volta estratto. Il “verde” (il pressato crudo estratto dallo stampo) è poi trasferito in un forno in cui subisce un ciclo di de-binding o de-waxingdel legante polimerico e poi di vera e propria sinterizzazione ed eliminazione delle porosità. La forma dell’oggetto così ridimensionato appare simile a quella definitiva. I tempi di processo e le temperature sono correlate con le dimensioni e la natura del materiale trattato, ma possono durare da svariati minuti a giorni per temperature comprese tra i 400 e i 2000 °C.
▲ Sinterizzazione termomeccanica
Riscaldamento e mantenimento della temperatura sono favoriti dal controllo della pressione meccanica dei sinterizzati. Un esempio di sinterizzazione termomeccanica è la HIP (Hot Isostatic Pressing, pressatura a caldo), eseguita in stampi progettati per comprimere in maniera omogenea il compatto di polveri mediante la pressione esercitata da un gas o un liquido. Tipicamente, la pressione si attesta su 20-50 Mpa, mentre la temperatura è tra i 600 e i 2100 °C..
▲ Sinterizzazioni elettro-termica o elettro-termo-meccanica
Quando le polveri sono riscaldate più o meno indirettamente con l’ausilio di campi elettromagnetici ed in particolare di correnti elettriche, subentrano diversi fenomeni legati al comportamento dei materiali con il campo elettromagnetico. Negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede grazie ai ridotti consumi energetici. Assorbono tutta l’energia richiesta dalla rete elettrica senza bruciare gas o idrocarburi per riscaldare un forno e portano la corrente efficientemente e limitatamente alla zona interessata, consistente perlopiù in uno stampo di grafite.
▲ Esistono infine nuove tecnologie che concentrano tutta l’energia elettromagnetica solo sulle polveri: sinterizzazione con laser (tecnologia statunitense detta Selective Laser Sintering o SLS); sinterizzazione con formazione di scintille e plasma (la giapponese Spark plasma sintering o SPS); fino agli estremi delle sinterizzazioni a singolo impulso come la sinterizzazione a scarica capacitiva (l’italiana Capacitor Discharge Sintering o CDS).
Le fasi in cui, principalmente, si articola la produzione di un pezzo sinterizzato, viste nel dettaglio sono:
Estrema durezza della superficie di lavoro, precisione della forma, resistenza alle sollecitazioni, più la relativa economicità della produzione in serie sono le caratteristiche di un componente realizzato per sinterizzazione. Come già visto, erano realizzate tramite sinterizzazione le camme a profilo multiplo impiegate nelle calcolatrici meccaniche Olivetti prodotte negli anni 70, ed operanti fino a 15 cicli al secondo.
Nessun dubbio, quindi, che questa tecnologia porti a interessanti applicazioni, tra cui la produzione di filtri in materiali rigidi e di inserti in carburo di tungsteno cementato (metallo duro o widia) per il taglio dei metalli alle macchine utensili. Si costruiscono anche bielle, rotori per pompe a lobi, pulegge, ingranaggi e componenti per ammortizzatori.
Il processo, utilizzato per migliorare le “paste” delle superfici frenanti dei veicoli (ferodi), si dimostra anche il migliore quando si tratta di produrre conduttori elettrici sottoposti ad attrito quali le spazzole degli alternatori, i pantografi, e le aste di captazione filoviaria, composti di rame e grafite sinterizzati.
Nel campo dell’ingegneria chimica, il processo di sinterizzazione è sfruttato per la produzione di alcune membrane. In ingegneria elettronica la sinterizzazione è utilizzata per ottenere trasformatori con nuclei magnetici di ferriti a piccola isteresi magnetica, in maniera tale da ridurre le perdite nelle applicazioni ad alta frequenza.
Dalle pile, in particolare quelle al Ni-Cd, composte da piastre sinterizzate fino alle pastiglie di ossido di uranio dei reattori nucleari di potenza moderati ad acqua leggera, prodotte attraverso la sinterizzazione della polvere di ossido di uranio, le sinterizzazione è molto presente. Neppure il campo della gioielleria le è rimasto indifferente, e la impiega nella fattura di preziosi in oro, argento e platino.
È sensato, comunque, chiedersi sempre a proposito di una tecnologia, se sarebbe ok anche per noi. Va bene per tutti i pezzi e in tutte le occasioni? Visto che per chi fa il nostro lavoro scegliere alla cieca è vietatissimo, andiamo a ‘leggere’ la tecnologia con uno spirito un po’ critico, per vederla bene nelle sue luci ed ombre.
Comincio dai vantaggi, poiché il metodo della sinterizzazione ne offre davvero molti:
Di contro, la voce svantaggi mette in luce qualche considerevole limite:
Oggi, lo dico ancora, sono davvero tante le applicazioni dei pezzi sinterizzati, in tantissimi ambiti, anche se principalmente poi si ha a che fare con la meccanica nella più ampia accezione possibile, l’automotive, gli elettrodomestici .
Ci sono naturalmente materiali più e meno adatti alla sinterizzazione. Non aspettiamoci solo l’acciaio, anche se di acciaio poi parleremo, in senso operativo. Frequentemente usati si trovano :
Su questi materiali si effettuano, compatibilmente con le loro caratteristiche, trattamenti superficiali e termici. Lo stesso vale per gli acciai sinterizzati. L’espansione della tecnologia dei sinterizzati in acciaio, spinta soprattutto dai significativi risparmi che garantisce, presuppone un sempre più frequente ricorso ai trattamenti termici, tanto massivi quanto superficiali di indurimento.
Compatibilmente con il tenore di carbonio e le percentuali di elementi di lega, è possibile eseguire sui pezzi in acciaio ottenuti da sinterizzazione tutti i trattamenti generalmente conosciuti. Vale a dire, si può procedere con la tempra, la tempra ad induzione, la carbocementazione, la nitrurazione nelle fasi liquida, gassosa e plasma e la tempra ad induzione, la carbonitrurazione.
Si deve aver cura di creare tutte le condizioni che si richiedono per trattare i pezzi non da polvere, ma non basta. Ecco che serve un tecnico per non dimenticare quegli accorgimenti che ti possono portare al migliore dei risultati sperati. Allora: comincio a sottolineare come la natura porosa del sinterizzato ne renda più difficile il controllo. Per questa ragione noi siamo soliti compensare la maggior diffusione degli elementi presenti nell’atmosfera di protezione.
C’è poi lo spinoso tema della deformazione. Nessun trattamento deve indurre deformazioni oltre la tolleranza ammissibile per il pezzo in produzione. Il sinterizzato è un pezzo a dimensione finita, per cui il trattamento termico va effettuato in forni ad atmosfera controllata, con potenziala di C controllabile, od in bagni di sali. Siccome la sfiga ci vede benissimo, dobbiamo sempre mettere in conto le cause di deformazione insite nella morfologia del pezzo.
Esempi? Ce li ho, ce li ho! Pensa alla diversità di porosità nello stesso pezzo dovuto a sottosquadri o a masse molto diverse, o diversità fra un pezzo e l’altro dovute alla variazione di temperatura di sinterizzazione. Cause di deformazione possono legarsi anche al trattamento termico di indurimento (riscaldo o raffreddamento non uniforme nei forni a lotti, per esempio: i pezzi al centro della carica subiscono cicli termici diversi da quelli posti all’esterno).
C’è altro? Certo che ce n’è! Approfondire queste cose mi piace veramente molto. La complessità di certe questioni, e quindi delle scelte da prendere, è il miglior argomento per far intendere qual è il valore di una consulenza che viene dalla competenza e da molti anni passati a fare proprio questo lavoro. Il mio è quello del trattamentista! E voglio essere per te, se tu decidessi di incontrarmi, il miglior interlocutore possibile.
Quindi, andiamo avanti cercando di non tralasciare nulla. Nel caso dei trattamenti di indurimento superficiale, come carburazione o nitrurazione, la diversità di porosità porta anche ad una penetrazione diversa degli elementi arricchenti con aumenti di volumi disuniformi. E ancora… se i pezzi non vengono caricati in strati unici, ma sovrapposti, i pezzi che “finiscono sotto” rischiano di esser deformati dal carico che li sovrasta.
Ce n’è abbastanza per non star tranquilli, vero? Oppure per mettersi nelle mani di un professionista così passa la paura. Intanto, in attesa di parlarti di persona (ti aspetto sempre: basta una telefonata o qualche riga di email) ti anticipo qualche indicazione su come ‘si dovrebbe’ operare con il trattamento termico dei sinterizzati. Va da sé che in SteelBetter facciamo esattamente quello che raccomandiamo.
Soffermiamoci sull’importanza del lotto unico. Siamo tutti d’accordo che è molto complicato andare a collegare cause ed effetti quando molte diverse anomalie (potrebbero non esserci, ma ci sono quasi sempre!) si sommano andando a fare cumulo. Lì il disastro è incombente, perché un tipo di deformazione, così come potrebbe compensarla (potrebbe, e non lo fa praticamente mai!), può accrescere l’altra. Orrore! La situazione sfugge di mano e ti trovi a gestire risultati non più statisticamente catalogabili.
Per non arrivare a questo punto bisogna partire bene, e cioè: fare in modo di effettuare il trattamento termico su sinterizzati organizzati in lotti omogenei. Chiamo “lotto”, la quantità di produzione realizzata dal sinterizzatore senza interruzioni e a condizioni inalterate: mantenendo le stesse polveri, la stessa pressa, stampo, lo stesso forno di sinterizzazione e la stessa pressa di coniatura.
È il modo migliore per poter far affidamento su una buona probabilità di omogeneità morfologica del lotto: è chiaro che la disuniformità di porosità in uno stesso stesso pezzo comporta deformazioni asimmetriche, che però non sono da attribuire ad “errori” in sede di trattamento termico.