La passivazione è un fenomeno di natura elettrochimica. A cosa serve? Se ben eseguita, rallenta o – nella migliore delle ipotesi – impedisce completamente la corrosione dei materiali metallici, ripristinandone le originarie caratteristiche di inossidabilità.
Mediante bagni in soluzioni acide (generalmente acido nitrico HNO3, oppure acido citrico) o utilizzando paste che puliscono la superficie dell’acciaio da contaminanti ferrosi, la passivazione assicura una “lunga vita” al manufatto in acciaio. E non solo. Può infatti dargli una “nuova vita”, perché l’immersione in bagni passivanti rimuove le eventuali tracce di inquinante ferrosi dovute a precedenti lavorazioni.
Vale la pena di dare un’occhiata attenta a questo importantissimo trattamento, per conoscerlo fino in fondo vista l’importanza dei suoi obiettivi:
Per primo Michail Vasil’evič Lomonosov, scienziato e linguista russo, studiò nel 1750 cosa succede al ferro quando viene immerso in una soluzione di acido nitrico concentrato. Ma è stato necessario aspettare fino al 1836 per veder comparire il termine “passivazione”: il chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein indicò così il processo di inibizione alla corrosione dei materiali metallici attraverso il contatto con acido nitrico concentrato.
Nel 1911, nell’ambito dei suoi studi sulla passivazione del ferro immerso in acido solforico, Friedrich Flade, un ingegnere elettrochimico tedesco, introdusse il concetto di “potenziale di Flade”. I valori dei potenziali di Flade (molto prossimi ai potenziali di passivazione) dipendono dalla natura del materiale preso in considerazione e delle condizioni ambientali.
Per andare sul concreto, ho riportato in una tabella i potenziali di Flade di alcuni metalli a pH = 0 e a temperature prossime ai 25 °C
Metallo | Potenziale di passivazione (NHE) |
Oro | +1,36 |
Platino | +0,91 |
Ferro | +0,58 |
Argento | +0,40 |
Nichel | +0,36 |
Cromo | -0,22 |
Titanio | -0,24 |
Passivare l’acciaio al carbonio: è possibile
Il fenomeno della passivazione consiste, fondamentalmente, nella formazione di un sottile film. Costituito da:
il film è costituito dal metallo che aderisce perfettamente a quella parte della superficie del pezzo che si trova a contatto con l’ambiente aggressivo (ad esempio, acqua o aria).
La funzione del film è ostacolare la diffusione dell’agente ossidante (generalmente, ossigeno). Per questo motivo deve essere “compatto”, ovvero denso e poco poroso.
L’acciaio al carbonio ad alti potenziali, e in assenza di cloruri, si passiva. I nitriti come altre specie ossidanti sono in grado di portare l’acciaio al carbonio in campo passivo fornendo una reazione catodica caratterizzata appunto da alto potenziale.
Per questa ragione i nitriti sono impiegati come inibitori in acque salmastre e nel calcestruzzo. La reazione che porta alla formazione del film protettivo ad esempio in ambienti alcalini potrebbe essere la seguente: 2Fe2+ + 2OH- + 2NO2- = 2NO + Fe2O3
Immergendo l’acciaio in una soluzione contenente nitriti si crea un film di ossido alla superficie dell’acciaio di qualche nanometro di spessore. Quando, però, il metallo tolto dalla soluzione che l’ha passivato è messo a contatto con altri ambienti il film può al massimo dare una protezione temporanea. Oltretutto, una volta localmente lacerato non è in grado di ricicatrizzarsi.
La passivazione dell’acciaio inox avviene naturalmente, nel momento stesso in cui la lega si trova in un ambiente in grado di apportare ossigeno sulla superficie del metallo. Quando l’ossigeno – proveniente dall’aria, dall’acqua (pura), da un agente ossidante come l’acido nitrico (vedi ASTM A967) o da altre fonti – entra in contatto con la superficie dell’acciaio inossidabile, reagisce con il cromo presente in lega formando gli ossidi ed i composti responsabili della passivazione.
Quando si parla di passivazione degli acciai inossidabili si fa riferimento alla proprietà specifiche per le quali viene scelto, per una determinata applicazione, un acciaio inossidabile. La passivazione, o strato di passività, di un acciaio inox è ciò che lo rende resistente a corrosione.
Le leghe di cromo, come gli acciai inossidabili, vengono abitualmente preferite per applicazioni che coinvolgano ambienti corrosivi. Sono acciai selezionati, in particolare, perché offrono una spiccata resistenza all’attacco chimico senza richiedere grossi costi aggiuntivi di protezione. Il tenore minimo di cromo, per il quale un acciaio può essere considerato inossidabile (e quindi dar luogo alla passivazione), è definito nella norma EN 10088-1 ed è fissato ad un minimo di 10.5% in peso (ed un massimo di 1.2% di carbonio).
La resistenza a corrosione degli acciai inossidabili è dovuta ad un film protettivo invisibile formato principalmente da ossidi ed idrossidi di cromo del tipo Cr2O3 e Cr(OH)3. Da qui in poi, per semplicità, parlando di passivazione si farà riferimento all’“ossido di cromo” nella sua più comune forma: Cr2O3 .
Tale film, per conferire passivazione agli acciai inossidabili, deve avere alcune caratteristiche ben precise:
Le proprietà indicate non sono le uniche, ma sono loro a garantire che il film di passività sia efficacemente protettivo nei confronti dell’acciaio inossidabile, conferendo una buona passivazione e proteggendolo quindi dall’attacco di agenti esterni.
È chiarissimo il contrasto con gli ossidi di ferro che si creano su acciai al carbonio. Quella che chiamiamo correntemente “ruggine” non è che un insieme di diversi ossidi ed idrossidi porosi, che lasciano fluire gli agenti aggressivi ed ossidanti (anche il semplice ossigeno dell’aria) al substrato metallico.
Quando si parla di passivazione dell’acciaio inox, si fa riferimento ad un ossido perfettamente adeso e compatto, uno strato di passivazione che fa fisicamente da barriera contro il passaggio di agenti aggressivi dall’esterno al substrato metallico. Questo film, che si forma e riforma rapidamente ad opera dell’ossigeno atmosferico, porta anche ad un innalzamento del potenziale elettrochimico superficiale del metallo.
La sensibilità ai contaminanti (residui metallici derivanti dai trattamenti di produzione/fabbricazione, sporco, polveri, ecc) ne pregiudica l’omogeneità e resistenza e farne quindi decadere le proprietà tecnologiche. Quindi, affinché la passivazione naturale dell’acciaio inossidabile avvenga in maniera soddisfacente, è necessario che l’ambiente in cui ha luogo il processo di passivazione sia esente da inquinanti, polveri metalliche, cloruri, fluoruri, zolfo, ecc.
La passivazione è un metodo di post-fabbricazione adottato per massimizzare la resistenza alla corrosione della lega di acciaio inossidabile utilizzata per produrre il pezzo finito. A volte lo si considera, equivocando, un trattamento disincrostante, o una specie di “mano di vernice”.
Quel che è certo è che un film di ossido protettivo è presente sulla superficie passiva dell’acciaio inox, prima che il pezzo sia fabbricato. Un pezzo di acciaio inox pulito, appena lavorato, spazzolato o decapato acquisisce automaticamente questo film di ossido a contatto con l’atmosfera (ossigeno).
In condizioni ideali, il film protettivo di ossido copre completamente tutte le superfici del pezzo ed è considerato estremamente sottile: parliam di quasi 0,00000254 mm (circa 100mila volte più sottile di un capello umano). Alcuni elementi (come azoto, titanio, nichel, molibdeno, e così via) influenzano in maniera più o meno importante, la formazione, lo spessore, la stabilità, l’adesione e la velocità di ricostruzione del film passivante e quindi la resistenza alla corrosione dell’acciaio.
Contaminanti come sporcizia o particelle di ferro, possono essere trasferiti dagli utensili di taglio alla superficie delle parti in acciaio inox durante la lavorazione. Se non rimosse, queste particelle estranee possono ridurre l’efficacia della pellicola protettiva originale. Quando accade questo, può iniziare l’attacco corrosivo.
Durante i processi di lavorazione, una quantità microscopica di ferro può essere trasferita dall’utensile di taglio alla superficie del pezzo di acciaio inossidabile. In determinate condizioni, potrebbe apparire un sottile strato di ruggine sul pezzo. Questo non è altro che la corrosione dell’utensile e non del metallo principale.
A volte la fessura alla particella integrata proveniente dall’utensile o dei suoi prodotti di corrosione può causare l’attacco del pezzo stesso. Analogamente, piccole particelle di ferro contenente sporcizia presente nell’officina possono aderire alla superficie del pezzo in acciaio. Sebbene il metallo possa sembrare lucido appena lavorato, le particelle invisibili di ferro possono causare corrosione sulla superficie dopo l’esposizione all’atmosfera.
Anche l’esposizione ai solfuri può rappresentare un problema, se non preso in considerazione. Queste particelle provengono dall’aggiunta di zolfo agli acciai inossidabili per migliorarne la lavorabilità. I solfuri migliorano la capacità della lega a formare trucioli, che si staccano nettamente dall’utensile da taglio durante la lavorazione. Se il pezzo non è passivato correttamente, i solfuri possono agevolare l’inizio di una corrosione superficiale del prodotto.
La scelta finale relativa al tipo di passivazione dipende dagli standard di fornitura imposti dal costruttore, per il quale le parti o componenti possono essere applicati. Per ulteriori informazioni, fare riferimento alla normativa ASTM A967 “Specifiche standard dei trattamenti chimici di passivazione per pezzi in acciaio inossidabile”.
A prescindere dalla direzione in cui va la scelta, i passaggi imprescindibili per garantire la migliore resistenza possibile alla corrosione sono due:
Fase n. 1: la pulizia
La pulizia deve precedere ogni altro intervento. Grasso, refrigerante o altri corpuscoli presenti in officina vanno subito rimossi dalla superficie per ottenere la migliore resistenza alla corrosione possibile. Schegge di lavorazione o altra sporcizia possono essere tolti dal manufatto con cautela. Per rimuovere oli di lavorazione o refrigeranti può bastare un semplice sgrassatore o detergente commerciale. I materiali estranei, come gli ossidi termici, possono essere rimossi mediante molatura, o con metodi quali il decapaggio con immersione in acido.
Supporre che la semplice immersione della parte grassa in un bagno acido dia luogo simultaneamente tanto alla pulizia quanto alla passivazione è una leggerezza che costa molto cara.
Può accadere che il grasso contaminato reagisca con l’acido, formando bolle di gas che si depositano sulla superficie del metallo e interferiscono con la passivazione. Ancora peggio, la contaminazione della soluzione di passivazione, talvolta con alti livelli di cloruri, può causare il cosiddetto “attacco flash”. In cosa consiste un attacco flash? Al posto del film di ossido desiderato, una superficie lucida, pulita e resistente alla corrosione, ci si trova con una superficie fortemente acidata o scura, perfino deteriorata rispetto alla situazione di partenza.
Fase n. 2: bagni passivanti (bagni in acido)
Dopo un’accurata pulizia, il manufatto in acciaio inox è pronto per l’immersione in un bagno acido di passivazione. In relazione al grado dell’acciaio inossidabile e ai criteri previsti, si effettua una scelta tra tre diversi metodi:
Le leghe più resistenti al cromo-nichel (serie 300) possono essere passivate in un bagno di acido nitrico al 20%. Gli acciai inossidabili meno resistenti possono invece essere passivati aggiungendo bicromato di sodio al bagno di acido nitrico, per rendere la soluzione più ossidante e capace di formare una pellicola passiva sulla superficie. In alternativa all’acido nitrico + bicromato di sodio, si aumenta la concentrazione di acido nitrico al 50%. L’aggiunta di bicromato di sodio e la più alta concentrazione di acido nitrico servono a prevenire un eventuale attacco flash.
I metodi sotto indicati variano in base alle specifiche caratteristiche ed al contenuto di cromo delle leghe trattate.
Tipo di acciaio | Procedimento |
● Leghe al cromo-nichel (serie 300)
● Leghe al cromo ≥ 17% (eccetto serie 440) |
Acido nitrico al 20% a 49/60 °C per 30’ |
● Leghe al 12-14% di cromo
● Leghe ad alto carbonio e cromo (serie 440) |
Acido nitrico al 20% + 22 g/L di bicromato di sodio a 49/60 °C per 30’
oppure Acido nitrico al 50% a 49/60 °C per 30’ |
● AISI 203, 420F, 430F, 440F | 1) idrossido di sodio al 5% del peso a 71/82 °C per 30’
2) sciacquare con acqua 3) acido citrico al 20% + 22 g/L di bicromato di sodio a 49/60 °C per 30’ 4) sciacquare con acqua 5) idrossido di sodio al 5% del peso a 71/82 °C per 30’ 6) sciacquare con acqua |
Per quanto riguarda gli acciai inossidabili automatici, che non sono adatti a lavorazioni meccaniche ad alta velocità, la procedura è diversa. I solfuri degli acciai automatici (contenenti zolfo) vengono parzialmente o totalmente rimossi durante la passivazione in un bagno all’acido nitrico, creando discontinuità microscopiche nella superficie del pezzo lavorato.
Anche il risciacquo con acqua, normalmente efficace, può lasciare intrappolati in queste discontinuità residui di acido dopo la passivazione. Se non viene neutralizzato o rimosso, questo acido residuo può successivamente attaccare la superficie dell’acciaio. È possibile utilizzare un processo alcalino-acido-alcalino, che neutralizza l’acido intrappolato e si realizza in meno di due ore, attarverso 8 diversi step:
In alternativa ai trattamenti di acido nitrico, l’acido nitrico può essere utilizzato da solo, per rimuovere leggere contaminazioni di ferro dalla superficie, inoltre facilita la passivazione della superficie di acciaio pulita. L’utilizzo di acido citrico è meno pericoloso (generalmente è considerato sicuro) e offre vantaggi ambientali in termini di emissione di fumi (ossidi – NOx) e smaltimento dell’acido. Per passivare l’acciaio inox i trattamenti in acido citrico prevedono soluzioni al 4-10% (vedi normativa ASTM A967).
Evitare “l’attacco flash” è possibile, ma bisogna prestare grande attenzione a tre elementi:
La passivazione in acido citrico è è utile per un gran numero di famiglie di acciai inossidabili ed è sempre più utilizzata dai produttori che vogliono evitare l’uso di acidi minerali o soluzioni contenenti bicromato di sodio. Per brevità, ho riunito in due tabelle le informazioni necessarie all’effettuazione del trattamento con acido citrico:
Metodo A | Metodo B |
◊ pulire / sgrassare
◊ sciacquare con acqua ◊ passivare (vedi tabella 1) ◊ sciacquare con acqua ◊ asciugare |
◊ pulire / sgrassare in una soluzione di idrossido di sodio al 5% del peso a 71/82 °C per 30’
◊ sciacquare con acqua ◊ passivare ◊ sciacquare con acqua ◊ neutralizzare in una soluzione di idrossido di sodio al 5% del peso a 71/82 °C per 30’ ◊ sciacquare con acqua ◊ asciugare |
Famiglia | Serie AISI | % Cr | °C | Metodo |
● Austenitici | 04 – 304L – 316 – 316 L | 15,0 / 23,5 | 65,5 | A |
● Martensitici | 30 – 450- 455 – 465 | 11,0 / 17,5 | 65,5 | A |
● Martensitici | 410 – 420 | < 15 | 48,9-54,4 | B |
● Ferritici | 430 | ≥ 16,0 | 65,5 | A |
● Ferritici | 409 | < 12 | 82,20-93,30 | B |
Alcune prove di laboratorio dimostrano che le procedure di passivazione in acido citrico sono più inclini all’attacco flash rispetto al trattamento in acido nitrico. I fattori che causano questo tipo di attacco includono la temperatura troppo alta del bagno, il tempo d’immersione eccessivo e la contaminazione del bagno. Esistono prodotti inibitori dell’acido citrico contenenti additivi (ad esempio, agenti imbibenti) capaci di ridurre sensibilmente l’attacco flash.
Eseguita la passivazione, è necessario controllare se il trattamento ha rimosso le particelle contaminanti e ottimizzato la resistenza alla corrosione del metallo? Per questo esistono dei test di valutazione della superficie dei pezzi trattati. Gli acciai inossidabili indurenti per precipitazione e quelli automatici vengono esaminati meglio in un mobile chiuso, in grado di mantenere i campioni umidi al 100% a 35 °C per 24 ore.
La sezione trasversale è generalmente la superficie più critica, in particolare per gli acciai automatici, perché i solfuri, distribuiti nella direzione di lavorazione, intersecano questa superficie. Le superfici critiche devono essere posizionate verso l’alto, inclinate a 15-20° per permettere all’umidità di fluire verso il basso.
È importante che il metodo di prova corrisponda al grado dell’acciaio da esaminare. Il test non deve essere né troppo rigido, né troppo tollerante. Il materiale correttamente passivato sarà sostanzialmente privo di ruggine, anche se potrà mostrare qualche colorazione/riflesso.
È disponibile anche un metodo più rapido: si applica la soluzione prevista dalla norma ASTM A380 (Pratiche standard raccomandate per pulire e disincrostare pezzi in acciaio inossidabile, attrezzature ed impianti). La prova consiste nel tamponare il pezzo con una soluzione di solfato di rame e acido solforico, mantenendo l’umidità per sei minuti e osservando se c’è qualche ramatura.
In alternativa, il pezzo può essere immerso nella soluzione per sei minuti. La ramatura si presenta se il ferro si scioglie.
Quest’ultimo provino non può essere applicato ai componenti destinati all’industria alimentare. Inoltre, non deve essere utilizzato per gli acciai inossidabili martensitici o ferritici con basso contenuto di cromo (serie 400), in quanto è probabile ottenere dei risultati falsi positivi. Storicamente, la prova in nebbia salina è stata utilizzata anche per verificare campioni passivati. Questo test, troppo rigido per alcuni tipi di acciaio, in genere non è necessario per confermare che la passivazione sia efficace.
Vuoi un buon trattamento di passivazione? Puoi averlo, ma solo tenendo ben presenti i prossimi punti:
6 cose da fare
5 cose da non fare
Dovendo riassumere la mia chiacchierata, possiamo dire che obiettivi come:
sono tranquillamente alla portata di chi sceglie di procedere alla passivazione, nelle modalità diverse e con i diversi metodi praticabili. Il trattamento è molto promettente, e a renderlo ancora più interessante c’è il fatto che pur riuscendo a ripristinare le proprietà inossidabili dell’oggetto trattato, non comporta notevoli cambiamenti estetici nell’acciaio.
Quando un manufatto viene lavorato, varie particelle possono permeare la superficie del metallo, indebolendo la sua resistenza alla corrosione e renderlo più sensibile a fattori ambientali.
Schegge, sporcizia e altre particelle e residui quali le contaminazioni di ferro, grassi e oli di lavorazione influenzano la resistenza della superficie naturale e possono essere incorporati nella superficie durante il processo di lavorazione. Spesso invisibili all’occhio umano, causano deterioramento.
La passivazione – studiata per massimizzare la resistenza alla corrosione intrinseca di pezzi in acciaio inossidabile dopo la lavorazione, rimuovendo frammenti e oli indesiderati dalla superficie – migliora e purifica la superficie, che risanata protegge il pezzo dai fattori ambientali.
In uno scenario tanto positivo, però, un trattamentista esperto che fa l’avvocato del diavolo ci sta eccome. Tocca a me, infatti, precisare che gli acciai inossidabili possono essere passivati soltanto se la superficie è pulita e priva di residui di saldatura o altre contaminazioni.
E sempre a me l’esperienza suggerisce di rimarcare che non sempre sono indicati i trattamenti di passivazione; è sempre basilare prestare attenzione alla selezione e all’utilizzo del trattamento per garantire che quello selezionato sia efficace contro il contaminante.
Pur avendone trattato con la penna intinta nel miele, pur avendo sciorinato davanti ai tuoi occhi tanti pregi, ora mi tocca dire che procedere avendo accanto un esperto può fare la differenza ai fini della tua tranquillità in fase di esecuzione e soprattutto ai fini della soddisfazione arrivando al risultato.
È verissimo che l’interesse per la passivazione non fa che crescere, eppure non è così scontato trovare ambienti in cui l’inox viene stoccato, lavorato e trasformato in reparti e con utensili dedicati. Talvolta, lamiere e particolari di acciaio inossidabile vengono molati con gli stessi utensili usati per acciaio al carbonio, i processi di saldatura non vengono settati in maniera adeguata oppure si fa economia sul gas di protezione.