Una crepa sottile, profonda o anche meno profonda: è l’odiosa messaggera di un evento tragico: la rottura! E una volta che si arriva alla rottura, lo sanno tutti, non è mica così facile.
Siamo sicuri che possa risultare consolante dedicarsi all’indagine delle cause? E dire che la cricca può avere nel suo pedigree questo e quello… difetti di formazione, lavorazione, disegno (per esempio, la mancanza di raccordi).
E già, ma tu intanto hai il pezzo rovinato. Perché? Te lo dico in un soffio, in cinque desolanti parole: non ha retto alla fatica.
Mentre pensavo a cosa poterti proporre di almeno un po’ utile su questo tema, mi è anche apparso evidente che non si può fare a meno di qualche esempio. Così, tanto per chiarezza. E te lo confesso, la cricca maledetta mi ha preso la mano. Eccoti un elenco, credo sia completo. Lungo è lungo, non c’è che dire.
Nonostante l’impressionante varietà delle sue manifestazioni, vale la pena ripartire dalla definizione di base, che ci descrive la cricca come una discontinuità micro o macroscopica di un metallo in cui due dimensioni sono decisamente più importanti della terza( lunghezza-profondità-larghezza). La presenza di tale discontinuità, in un manufatto sollecitato, implica all’apice della cricca l’incremento delle sollecitazioni locali, ergo della fatica.
Se stai leggendo e non hai finora scaraventato pc, tablet o smarthphone (te ne intendi di informatica?), se ancora non sei fuggito dal blog, verosimilmente te ne intendi di meccanica. Quindi se affermo che la fatica è “un fenomeno meccanico per cui un componente, soggetto a carichi variabili nel tempo, si danneggia e si rompe nonostante l’intensità dei carichi sia notevolmente inferiore al valore di rottura del materiale” mi sono spiegato bene.
Ma se ci fosse qualche bastian contrario qui a leggere, ecco la “legge del fil di ferro”. Prendi un pezzo di fil di ferro e piegalo, prima in un sensopoi in quello opposto. Ripeti l’operazione più volte: ti sembrerà magari una legge di Murphy, e infatti il pezzo si rompe.
Ad ucciderlo è stata proprio la fatica, perché il carico, o sollecitazione, subita dal materiale eguaglia il suo valore limite di resistenza. Per rompere a fatica un oggetto metallico, comunque, non è necessario piegarlo. Basta sottoporlo a lungo ad una sollecitazione variabile – cioè che alterna momenti di carico a momenti di assenza di carico – nel tempo.
Il materiale per fatica si fessura, ovvero si forma una cricca che avanza man man che i cicli di carico aumentano. La sezione utile, la parte cioè non danneggiata, si assottiglia progressivamente, abbassando la resistenza complessiva. Quando la sezione utile non riesce più a sostenere la sollecitazione, si ha una rottura di schianto.
Esaurita questa dinamica eccoci, infine, in presenza di una rottura per fatica! Puoi ammirare le due parti, che, ben diverse tra loro, si evidenziano sulla superficie:
La fatica ha al suo attivo una bella serie di disastri. Basteà una breve digressione per inquadrare il problema nella storia della tecnica.
Nel 1850 circa, la rottura degli assi di carrozze e locomotive innescò alcuni gravissimi incidenti ferroviari. Una commissione d’inchiesta, guidata da August Wöhler, accertò che la rottura degli assi era dovuto ad un fenomeno definito appunto “fatica”. Il materiale, acciaio in quel caso, si mostrò incapace di resistere a sforzi variabili nel tempo, pur se di entità bassa, molto inferiore a quella necessaria per piegare i pezzi.
La commissione d’inchiesta concluse che un componente costruito con un materiale metallico dura tanto più a lungo quanto minore è la sollecitazione, tanto che al di sotto di un certo livello non si rompe nemmeno dopo milioni di cicli di sollecitazione.
La sollecitazione “critica” viene detta “limite di fatica” ed è correlata ad una durata di circa 1 milione di cicli, il che significa che se un componente resiste ad una sollecitazione per più 1 milione di cicli, tale sollecitazione è al di sotto del limite di fatica. Se insomma la sollecitazione rimane al di sotto di tale limite, la durata è indefinita, virtualmente eterna.
La fatica, ‘prima’, era del tutto sconosciuta. E invece tutte le macchine bisogna pagar dazio: per l’uomo una lezione dura, ma molto significativa, come sempre quelle apprese nelle calamità. Il valore di resistenza a fatica che i produttori delle leghe metalliche forniscono viene rilevato secondo una procedura standard di laboratorio, mediante provette realizzate seguendo apposite normative: esistono apposite disposizioni tecniche, emanate dagli enti di unificazione internazionali, che determinano gli standard minimi di prova per la durata di una macchina e dei suoi componenti.
In un pezzo lavorato, anche a livello microscopico il materiale non è mai perfettamente omogeneo. Soprattutto se ci sono saldature, ci sarà una certa variabilità di caratteristiche da punto a punto. Le discontinuità riducono la resistenza, creano le condizioni perché si inneschi la cricca di fatica, agiscono da invito alla rottura. Se fosse un flusso d’acqua scorresse nel materiale, aumenterebbe di velocità in presenza di spigoli, di curve o altre irregolarità. Allo stesso modo aumenta la sollecitazione locale nel materiale.
La crepa, o “cricca”, inizia in un punto debole, si estende molto lentamente e rimane invisibile, ma cresccendo in grandezza cresce in velocità di propagazione, indebolendo irreversibilmente il pezzo. Raggiunta una dimensione critica, il pezzo non resiste alla forza applicata e si rompe di schianto. Fino a un istante prima sembrava perfettamente integro, “come nuovo”, perlomeno ad un occhio non allenato, visto che un esperto riesce a individuarne la traccia con buona sicurezza.
Frattura finale: l’avanzare della cricca porta ad una progressiva diminuzione di sezione resistente; quando la sezione resistente si riduce e la dimensione della cricca raggiunge il valore della sezione critica del materiale, si ha la frattura finale di schianto per sovraccarico (statico).
Il limite di fatica è correlato alla tensione di rottura Rm e indirettamente ai fattori che la modificano. Si distinguono in fattori metallurgici e fattori meccanici.
Per quanto riguarda i fattori metallurgici:
In genere gli acciai da bonifica sono più resistenti a frattura fragile. Le inclusioni sono dannose se in quantità e con geometria lamellare. In linea di massima è quindi più resistente un pezzo ottenuto per solidificazione sottovuoto rispetto ad un pezzo ottenuto per colata.
Per quanto invece riguarda i fattori meccanici, ovvero legati all’esercizio e al dimensionamento del pezzo metallico:
– tempra superficiale,
– nitrurazione,
– cementazione;
– trattamenti meccanici di deformazione (pallinatura, rullatura o smerigliatura).
E così abbiamo visto il come e perché del problema. Ma io sono qui perché tu NON abbia il problema. Niente conta di più della finitura superficiale. Aumentare le irregolarità superficiali significa veder diminuzione notevolmente del limite di fatica. Un’azione molto accentuata nell’abbassare il limite di fatica è svolta da una corrosione che sia contemporanea alla sollecitazione di fatica, e infatti il danneggiamento continua a crescere con il numero di cicli qualunque sia la sollecitazione applicata.
Detto questo, anche la forma ha importanza nella vita a fatica del pezzo. Ogni variazione di sezione determina concentrazioni di tensioni e localizza deformazioni, agendo nel senso di una netta diminuzione del limite di fatica. Per questo hanno un’azione dannosa fori, intagli e spigoli vivi.in fase di progetto e costruzione è sempre opportuno far la guerra a difetti di intaglio, fori, spigoli vivi e variazioni di sezione.
Le cricche di fatica nucleano quasi sempre (eccetto alcuni casi tipici, come la fatica per contatto ciclico negli ingranaggi) su una superficie libera del pezzo in questione: questo per un concorso di cause (in superficie sono in genere massimi gli sforzi dovuti a flessione o torsione; in superficie sono in genere presenti difetti microscopici come la rugosità superficiale che fungono da microintagli e favoriscono l’innesco…).
Come vedi, ne abbiamo di cose su cui confrontarci! Quello che posso garantirti è che qui possiamo essere d’aiuto nel prevenire il danneggiamento per fatica o per migliorare la resistenza. Ti butto lì due o tre suggerimenti: